Aggiornato il 03/05/18 at 04:34 pm
di Nino Orto
Di recente, l’ultimo attacco in ordine cronologico compiuto dai guerriglieri curdi del Partito dei lavoratori del Kurdistan iracheno (PKK) contro postazioni dell’esercito di Ankara al confine turco con l’Iraq,……… oltre a causare decine di morti e alimentare nuove ondate di violenza nel breve termine tra i due schieramenti, si inserisce in una contesa che affonda le proprie radici indietro nel tempo e che non si limita semplicemente all’aspetto militare della questione ma abbraccia un più ampio problema di riconoscimento del popolo curdo all’interno della nazione turca e non solo.
Se c’è qualcosa in Turchia che non deve essere messo in discussione, dai turchi stessi e soprattutto dalle minoranze all’interno del paese, quella è l’unità nazionale e la salvaguardia della nazione. Proprio per questi sentimenti è capitato più volte nella storia del paese, che scoppiassero ciclicamente violenze ai danni delle minoranze che con la propria richiesta di autonomia potevano mettere in seria discussione l’unità territoriale e politica della nazione immaginata da Ataturk. E’ così che è nata la grande questione morale e politica con il popolo curdo e che fino ad oggi non ha trovato soluzione né in sede nazionale né in sede internazionale.
I curdi sono la più grande minoranza in Turchia e la ragione di maggiore instabilità interna per il paese anatolico e in maniera minore per l’Iran. Come noto i curdi sono una forte etnia politicamente e militarmente ben organizzata, soprattutto in Iraq. Storicamente stanziati nel Kurdistan, una regione aspra e impervia situata nel nord dell’Iraq e incastonata tra Turchia ed Iran, essi sono riusciti a mantenere una propria cultura e lingua non contaminata da influenze esterne, grazie alla particolare configurazione geografica che ha permesso loro nel corso dei secoli di resistere alle ripetute invasioni da parte di arabi, persiani e turchi.
Dopo lo sfaldamento dell’impero ottomano, gli accordi internazionali del 1923 che divisero l’enclave curda tra Turchia, Iran, Iraq e Siria, sancirono definitivamente l’impossibilità della creazione di uno Stato indipendente del Kurdistan, facendo sì che nel corso del secolo passato i curdi fossero sistematicamente perseguitati all’interno di tutte quelle nazioni in cui formavano una minoranza etnica, e in particolar modo in Turchia e Iran, dove erano e restano tuttora una forza politica attiva. Stimati intorno alle 15 milioni di unità, sono la più grande etnia al mondo senza uno Stato proprio.
Negli ultimi anni, tra gli sconvolgimenti internazionali che hanno cambiato il panorama strategico della regione e che hanno stravolto gli equilibri geopolitici precedenti portando nuovamente alla ribalta questo gruppo etnico quasi dimenticato, l’invasione americana dell’Iraq nel 2003 è quella che più ha impresso una accelerazione politica alla creazione di uno pseudo-stato curdo che è poi diventato il punto di svolta della storia recente di questo popolo.
La decisione della Casa Bianca, dopo la conquista di Bagdad, di voler suddividere la nazione irachena in differenti zone di influenza gestite dai vari gruppi etnici presenti nel paese sulla falsariga di uno stato federale di stampo occidentale, fu colta al volo dai curdi che, nell’immediato post-Saddam, in una situazione di anarchia e violenza tra i vari gruppi settari misero in campo preziose competenze burocratiche, politiche e militari al fine di poter influenzare gli equilibri di potere a proprio favore.
Tale rinascita fu politica, in quanto la risoluzione Onu che già nel 1991 dichiarò zona protetta il nord del paese, permise la creazione di un apparato parastatale curdo che gestiva autonomamente quell’area e che si sovrappose alle competenze assegnate dalla nuova costituzione irachena, ma fu anche e soprattutto militare poiché si stima che la milizia curda dei Peshmerga, creati nel 1946 dallo storico leader e combattente curdo Mustafa al-Barzani , da allora possa contare su oltre centomila iscritti, inclusi nutriti reparti femminili, squadre d’elitè addestrate da nazioni amiche e innumerevoli basi militari capaci di colpire facilmente le postazioni turche e iraniane poste ai confini con l’Iraq.
Oggi, il Kurdistan iracheno si è trasformato in una entità politica che si comporta quasi come uno Stato a parte, esso è inserito nelle strutture federali dell’ Iraq ed intrattiene rapporti economici e diplomatici con diversi paesi, tuttavia, nonostante questo e nonostante siano state fatte alcune aperture da parte delle autorità turche nei confronti della comunità curda nel sud del paese, nulla sembra essere cambiato nei rapporti tra le due entità politiche ed anzi, al contrario, lo scenario è mutato ulteriormente con la partecipazione dell’Iran a fianco della Turchia nella guerra contro i gruppi separatisti del PKK e del PJAK e l’enclave curda nel nord del paese.
Ed è proprio l’intesa turco-iraniana, sintetizzata dai bombardamenti congiunti degli ultimi mesi contro i villaggi di frontiera iracheni accusati di ospitare i guerriglieri curdi, l’evoluzione politica più plateale nella pluridecennale guerra di Ankara contro i separatisti. In realtà la novità riguarda, più che l’accordo militare tra Ankara e Teheran, il fatto che tali operazioni siano state pubblicizzate esplicitamente da parte di entrambi i leader.
Infatti, se ci sono testimonianze di operazioni militari congiunte tra i due paesi già dal 2004, quando in un Iraq messo a ferro e fuoco da milizie settarie senza controllo si temevano infiltrazioni di cellule terroristiche all’interno dei rispettivi confini, gli eventi delle ultime settimane potrebbero significare un evoluzione di tale asset geopolitico che potrebbe non essere più centrato sulle sole operazioni belliche.
Infatti, le manovre militari che stanno stringendo a tenaglia l’intero nord dell’Iraq rispecchierebbero obiettivi politici più ampi che non riguarderebbero semplicemente l’eliminazione dei partiti separatisti curdi ma anche lo sfruttamento degli immensi giacimenti petroliferi nei dintorni di Kirkuk, roccaforte curda in Iraq.
Per il governo del Kurdistan iracheno la presenza di tali gruppi paramilitari all’interno del proprio territorio rischia di diventare una minaccia alla propria incolumità politica con, in aggiunta, il rischio di trasformarsi in un solida giustificazione per le mire espansionistiche della Turchia e dell’Iran, che hanno già sconfinato più volte in territorio iracheno in cerca di combattenti senza nessuna sanzione da parte degli USA o della comunità internazionale. Ma quali sono i reali obiettivi di tali manovre? Perché questa improbabile alleanza tra le due nazioni che si contendono il primato culturale e politico del Medio Oriente?
Per quanto riguarda il primo punto, la strategia di fare terra bruciata in tutto il territorio montano a ridosso della frontiera ha come primo obiettivo stroncare l’appoggio popolare ai combattenti e per poter isolare tali gruppi ed annientarli. Tali manovre hanno come fine lo spostamento della popolazione civile dall’area per permettere un maggior controllo del territorio ed aumentare la fascia della buffer zone, la zona cuscinetto sotto controllo turco-iraniano, anche in previsione di possibili rappresaglie (soprattutto da parte iraniana) in caso di attacco militare americano. La Turchia, concedendo libertà di azione ai pasdaran iraniani, ottiene un fondamentale aiuto nella lotta contro i guerriglieri del PKK riuscendo a rinchiuderli in un fronte di 180 gradi che aumenta esponenzialmente l’efficacia dell’azione militare minimizzando le perdite.
La Turchia e l’Iran sono oggi forse le potenze regionali più influenti nello scacchiere mediorientale e il legame sempre più positivo tra le due nazioni potrebbe fare pensare ad una nuova configurazione di potere nell’area. Dopo secoli di ostilità permeata da un nazionalismo mai sopito, il primo passo verso un riavvicinamento da parte delle due capitali è avvenuta con l’elezione del presidente riformista iraniano Mohammed Khatami nel 1997 e si è consolidata con l’ascesa dell’Akp di Erdogan nel 2002.
Negli anni, l’appartenenza turca alla Nato e la speciale partnership con l’Occidente hanno mantenuto freddi i rapporti diplomatici tra le due capitali fino a quando la brusca sterzata diplomatica impressa da Erdogan nei confronti di Israele nel 2009 ha improvvisamente riavvicinato le posizioni estere dei due paesi. Ma, nonostante la collaborazione militare contro il Kurdistan iracheno, i punti di conflitto tra le due nazioni restano molti.
Esempio: il “neo-ottomanesimo” di Davutoglu ed Erdogan, in pochi anni ha scalato la gerarchia del potere nella regione fino a diventare una voce autorevole riguardo gli affari mondiali e che, ostentando una ondata di sentimenti anti-sionisti, hanno accolto manifestazioni di simpatia in tutto il mondo arabo erodendo gradualmente l’influenza iraniana nell’area mediorientale.
L’energia è un altro dei punti caldi nella competizione tra i due colossi regionali. La crescente importanza della Turchia come Hub energetico comincia a frustrare i piani di Teheran per sfruttare al massimo i propri giacimenti di idrocarburi, ed infatti, anche se l’Iran è il secondo produttore mondiale di gas naturale e petrolio, è la Turchia che sfruttando la rivalità tra Russia e Iran, serve come snodo principale per l’approvvigionamento energetico asiatico dell’Europa chiudendo le porte del Mediterraneo a Teheran.
Infine, il programma nucleare iraniano è la maggiore fonte di preoccupazione per i turchi. Ankara è semplicemente contro un Iran dotato di un ordigno nucleare o anche solo di tecnologia basata sull’atomo dal momento che sa bene che la posizione dell’Iran come maggiore potenza regionale non farebbe altro che rafforzarsi proprio a scapito di Ankara.
Se, come scrive l’analista di al-Jazeera Marwan Bishara: “Il riavvicinamento tra Iran, Turchia e Siria mira alla creazione di un nuovo asse regionale che ai fini pratici potrebbe sostituire il declinante asse Ryad-Cairo e trasformare la regione con un nuovo processo politico”, la possibilità che tale scenario si concretizzi effettivamente resta ancora lontana.
Fonte:L’Occidentale
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