Aggiornato il 03/05/18 at 04:38 pm
di Maria Letizia Perugini
Incontro con Alice Prete, una scalatrice agordina che ha raggiunto molte volte la vetta dell’Ararat, la montagna del Kurdistan turco che conserva le testimonianze del genocidio degli armeni e dove si ipotizza si trovino i resti dell’Arca di Noè. A ottobre è tornata su questo monte per una nuova spedizione culturale e solidale……. Può raccontarci le ragioni che l’hanno spinta a intraprendere questa scalata, chi sono stati i suoi compagni di viaggio?
La scalata dal punto di vista alpinistico non è particolarmente complicata, certo si tratta di una cima di 5000 metri dove a volte il vento raggiunge i 160km/h, ma le ragioni principali che mi hanno portato sull’Ararat sono di ordine storico e culturale.
Ho intrapreso questo viaggio con Lelio De Bernardin, Francesca Zambelli, Doriano Filippi e Monica Scussel ma soprattutto con Azad Vartanian – nome armeno che significa libertà – è un ricercatore italiano che da 20 anni è sulle tracce del popolo armeno e dei resti dell’Arca di Noè.
Negli studi di Azad le tracce del popolo armeno e quelle dell’Arca di Noè si sono intrecciate: nelle zone in cui sono stati ritrovati i resti delle antiche tombe armene, i katchkar, è stato individuato un sentiero ben visibile che, in un primo momento, non si sapeva dove conducesse. Gli studi di Azad hanno dimostrato che attraverso questo sentiero gli armeni raggiungevano un luogo che consideravano sacro e che coincide con il sito in cui si troverebbero i resti dell’Arca di Noè.
Si è trattato quindi di una spedizione alpinistica, sicuramente, ma anche di un viaggio attraverso la cultura e la storia dei popoli dell’Anatolia centrale, gli armeni e i resti del loro genocidio, ma anche i curdi.
Oggi i curdi sono i custodi di queste zone per quanto un tempo tra questi due popoli, gli armeni e curdi, non scorresse buon sangue. Si trattava di rivalità fomentate dai turchi per dividere e indebolire le minoranze all’interno dei confini del paese. Oggi però ormai le vicende storiche hanno portato i curdi di queste zone ad essere praticamente i discendneti degli armeni sopravvissuti al genocidio.
Le spedizioni non sono sempre state facili, al di là delle difficoltà oggettive legate a una scalata di 5000 metri si sono aggiunte anche difficoltà di tipo amministrativo. Può raccontarci quali sono i problemi?
L’accesso al monte Ararat è possibile solo dal versante sud dove c’è la via commerciale, ma anche salendo da questo lato è possibile incontrare delle difficoltà in quanto è necessario avere il permesso turco che si ottiene affidandosi alle guide, ma spesso ci vogliono dei mesi.
Noi, per i nostri viaggi ci siamo affidati a una guida curda Burhancevarun e non abbiamo avuto problemi di tempi.
Poi c’è la zona nord che è in mano ai militanti del Pkk. Qui le autorità turche non hanno il controllo del territorio e non possono quindi concedere i permessi. Chi viene trovato in questa zona viene arrestato dai turchi o comunque deve essere pronto a fronteggiare il possibile incontro con il Pkk.
Azad che frequenta queste zone da 20 anni non ha mai avuto problemi, si è ben integrato nell’ambiente della montagna, ha comprato 300 pecore e ormai si confonde tranquillamente con i curdi dei villaggi!
Nell’ultima spedizione anche noi abbiamo raggiunto la zona nord, e abbiamo avuto la possibilità si visitare gli antichi cimiteri armeni nella gola di Ahora. È stato molto suggestivo.
Dopo la scalata poi ha visitato anche il centro medico che sorge ai piedi della montagna nella città di Dogubaiazit. Il suo viaggio aveva anche uno scopo di solidarità dunque?
Si infatti! Arrivando a Dogubaiazit abbiamo portato 60 kg di aiuti per la popolazione di queste zone. Abbiamo visitato il centro medico della città che è stato costruito grazie ai finanziamenti di Un ponte per… e sono rimasta piacevolmente sorpresa dall’efficienza di queste strutture, l’ambulatorio odontoiatrico è all’avanguardia! Ma anche la parte dedicata alla ginecologia.
Il centro medico era stato costruito per essere rivolto soprattutto alle donne e alle ragazze, ma offre i suoi servizi sanitari a tutti i curdi della zona.
Poi in collaborazione con un negozio di Feltre, Linea Verticale, abbiamo portato anche molte attrezzatura da scalata per la gente di qui. Il monte Ararat per quanto non sia molto frequentato dagli italiani – noi abbiamo una ricchezza in termini di montagne che altri paesi non hanno – è però una meta ambita da molti scalatori francesi, polacchi ma anche australiani o americani, ma spesso le guide curde non hanno l’attrezzatura necessaria ad accompagnare gli scalatori. Portando queste attrezzature quindi speriamo di contribuire a incrementare il turismo di questa regione, un’importante fonte di sussistenza insieme alla pastorizia, e a garantire una maggiore sicurezza alle guide curde.
Fonte: Osservatorio Iraq
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