Aggiornato il 03/05/18 at 04:35 pm
ERBIL – Di nuovo si parla di curdi. Ma, come al solito, il destino di questo popolo pare essere quello di finire in mezzo a rivolte, guerre e interessi senza ottenere mai nulla per sé. Ieri in trecento hanno manifestato contro il regime di Damasco a Irbil, capitale della regione autonoma del Kurdistan iracheno.
Radunati davanti a una sede delle Nazioni Unite, hanno esposto cartelli su cui c’era scritto “No a negoziati con il regime” e “agiamo per una Siria democratica e parlamentare e per il riconoscimento del diritto dei curdi”. Sventolavano bandiere curde e della Siria prima della conquista del potere nel 1963 da parte del partito Baath e cantavano “Il popolo vuole la caduta del regime” e “Libertà per il popolo siriano”.
I dimostranti hanno consegnato una lettera all’ufficio dell’Onu in cui chiedono al Consiglio di sicurezza “di adottare una risoluzione che condanni il regime di Assad per crimini contro l’umanità commessi contro il suo popolo”.
Il presidente siriano Bashar al Assad ha promulgato il 7 aprile un decreto che accorda la cittadinanza agli abitanti di origine curda, che ne erano privati da quasi mezzo secolo nel nordest del Paese. Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani (Osdh), però dall’inizio della contestazione in Siria a metà marzo, sono stati uccisi 1.342 civili oltre a 343 tra poliziotti e soldati.
Le rivolte scoppiate negli ultimi mesi in Siria hanno rappresentato non solo una minaccia per il regime degli Assad, ma anche innescato una serie di difficoltà nei rapporti della Siria con il più importante dei suoi vicini, la Turchia del Primo ministro Erdogan. Fresco di nomina, avendo il suo partito (AKP) vinto per la terza volta le elezioni appena due settimane fa, Erdogan dovrà impegnarsi a gestire questa delicatissima situazione con Damasco, dove le proteste non sembrano assopirsi, né la violenza della repressione contro i manifestanti diminuire.
Inoltre anche il Kurdistan turco non si trova di certo in una condizione privilegiata, come Erdogan vorrebbe far credere. Anche qui la gente non gode dei diritti fondamentali, e nonostante la Turchia abbia approvato la Convenzione dell’Onu e quella del Consiglio europeo contro la tortura, Amnesty International ritiene che la tortura in questo Paese sia ancora diffusa, soprattutto nei confronti dei dissidenti politici curdi. La Turchia non può a questo punto dare chissà quali lezioni ad Assad in merito a questioni di umanità nei confronti della popolazione in protesta.
Il rapporto Siria-Turchia pare dunque non facile. In passato i due Stati sono stati sull’orlo di una guerra. La Siria fu infatti accusata di sostenere i ribelli del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan, considerato una vera organizzazione terroristica), e di proteggere il leader del movimento, Ocalan, attualmente in carcere. Alla fine la Siria si arrese, Ocalan fu catturato, e i rapporti tra i due Paesi migliorarono notevolmente. Quando l’AKP di Erdogan è salito per la prima volta al potere nel 2002, oltre a perseguire una politica di “zero problemi con i vicini” ha avviato una collaborazione intensa e fruttuosa con la Siria, cosa inimmaginabile fino a qualche anno prima.
Ora però questa collaborazione è messa serio a rischio, oltre che dalle tensioni per le rivolte, anche dalla questione curda.
Sull’altro fronte la violenza è in aumento soprattutto nella regione sud-est Curdo della Turchia, dopo che il partito filo-Curdo ha minacciato di boicottare il Parlamento. Inoltre un soldato turco è stato ucciso e altri tre feriti in un’imboscata dei ribelli separatisti vicino al confine della Turchia con l’Iran domenica, secondo quanto riportato dalle fonti della sicurezza.
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