Aggiornato il 03/05/18 at 04:35 pm
di Nicola Mirenzi
Fino a poco tempo fa, nessuno si sarebbe immaginato che un curdo, figlio di madre armena, di religione alevita sarebbe riuscito a risollevare le sorti del partito più tradizionalmente nazionalista della Turchia. Invece è successo. Kemal Kilicdaroglu è diventato il leader del partito repubblicano del popolo (Chp) poco meno di un anno fa.
L’OUTSIDER E LA CORSA AL VOTO. E oggi la sua formazione, fondata nientemeno che da Kemal Ataturk in persona, ha un appeal e una freschezza che pochi si attendevano. Alle elezioni politiche di domenica 12 giugno, Kilicdaroglu si presenta da completo outsider, vergine, con l’aurea di politico onesto e competente, privo delle ruvidezze ideologiche che hanno caratterizzato il decennale potentato del suo predecessore, Deniz Baykal.
SONDAGGI PRE ELETTORALE. I sondaggi danno il partito repubblicano intorno al 30%. Ancora troppo poco per riuscire a contendere il governo al primo ministro Recep Tayyip Erdogan, del partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp), che quasi sicuramente vincerà le elezioni per la terza volta consecutiva. Ma la previsione è invece molto positiva se si considera che alle scorse elezioni il Chp non superò nemmeno la soglia del 21%.
Il vero fatto nuovo di questa tornata elettorale è quindi lui, il Gandhi turco, come lo chiamano i giornali, per i suoi modi gentili e paciosi, che fanno venire in mente il famoso leader indiano. Ma la novità più significativa della sua ascesa non sta nelle percentuali di voto, né nelle schede elettorali. È sul suo corpo, nella sua biografia. Che porta i segni delle tre più grandi ferite della storia turca: il genocidio degli armeni, il disconoscimento dell’identità curda, la discriminazione delle minoranze religiose (anche musulmane).
IL PARTITO DELL’ESTABLISHMENT. Per capire la portata di questa rivoluzione, bisogna considerare che il partito repubblicano è sempre stato il partito dell’establishment, dell’esercito e della magistratura. Ossia l’apparato statale che ha retto il Paese per decenni e che si gira dall’altra parte ogni volta che si parla del massacro del 1915, del riconoscimento dei diritti dei curdi e della libertà di chi professa una religione diversa da quella della stragrande maggioranza della popolazione.
UNA VENTATA D’ARIA FRESCA. Ma non è solo una questione di profilo personale. Kemal Kilicdaroglu è riuscito a portare una ventata d’aria fresca nella polverosa politica del partito repubblicano perché ha cambiato passo. Invece di combattere il premier Erdogan soltanto dal punto di vista simbolico, diffondendo l’insensato terrore di una rivoluzione islamica in Turchia, ha cercato di parlare dei problemi delle persone e del Paese.
Sulla questione curda ha fatto un’apertura seria e ragionevole, ha considerato l’ipotesi di consentire l’accesso alle donne velate nei campus universitari, ha cavalcato le insofferenze dei giovani nei confronti di un governo che subdolamente cerca di controllare internet.
Il suo partito sta diventando sempre più un partito socialdemocratico, sullo stampo della tradizione socialista europea. Non una cosa di secondaria importanza, se si pensa che chi è venuto prima di lui ha rischiato invece di farsi cacciare, dal gruppo dei socialisti europei, per delle posizioni che si avvicinavano al peggiore autoritarismo.
POLITICA VICINA ALL’UE. Il mutamento della guida di Kilicdaroglu si nota anche su un’altra, decisiva questione: l’Europa. Tradizionalmente, e contrariamente a ciò che si pensa, il partito erede della cultura kemalista è sempre stato scettico sull’ingresso della Turchia nell’Ue. Con Kilicdaroglu invece le riserve sono cadute: «Tenteremo un riposizionamento in favore dell’Europa», ha detto.
«L’ingresso nell’Ue è il nostro obiettivo prioritario». Da parte sua anche l’Economist ha tentato di dargli una mano, consigliando ai turchi di votare per i repubblicani, in modo da bilanciare la portentosa forza di Erdogan. Il quale domenica vincerà sicuramente le elezioni e dopo tenterà di cambiare da solo la costituzione. Ma nonostante ciò, la brezza che Kilicdaroglu ha portato nel suo partito è di una salutare vitalità per la democrazia turca. Che altrimenti rischia d’impantanarsi nella megalomania del suo “sultano repubblicano”.
Sabato, 11 Giugno 2011
Fonte:Lettera43
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