Aggiornato il 03/05/18 at 04:35 pm
di Uri Dadush e Marwan Muasher
La sollevazione politica in tutto il Medio Oriente e nell’Africa del Nord significa problemi per l’economia mondiale. Con due presidenti deposti (in Tunisia e Egitto, dopo rivoluzioni relativamente pacifiche), l’intervento militare straniero nella guerra civile libica, le crisi irrisolte nel Bahrein e nello Yemen, i cambiamenti costituzionali in Marocco, la dissoluzione del governo in Giordania, e le proteste sempre più gravi in Siria, non si può tornare indietro, e le implicazioni economiche di tutto ciò non saranno confinate a questa regione. I governi che ancora si aggrappano al potere sono frenati da economie in difficoltà, ed ora è meno probabile che mai che si implementino in quei paesi le tanto necessarie riforme. L’unica possibilità ora rimasta per il mondo è quella di restare in attesa e prendere atto dei cambiamenti.
Se è vero che sono intervenuti più cambiamenti negli ultimi due mesi che negli ultimi 50 anni, ebbene, questo è solo l’inizio. Di fronte alle incertezze, il mondo esterno è obbligato a sostenere economicamente questa regione per ridurre le conseguenze finanziarie delle sue turbolenze. Oggi ci sono quattro principali rischi economici, due per la regione e due per il mondo, e non c’è tempo da perdere: occorre analizzarli e adottare delle misure per contenerli.
Le situazioni fiscali si deteriorano. Dato che oggi i governi sono costretti a “comprare” la pace con concessioni interne e nuovi programmi di spesa, la stabilità macroeconomica della regione è in pericolo. E a mano a mano che il clima riguardante gli investimenti continua a peggiorare e l’industria del turismo subisce un colpo mortale, la pressione sui regimi vecchi e nuovi può solo aumentare. Tutto ciò renderà sicuramente più difficile per i governanti della regione reagire in modi che contribuiscano alla crescita economica a lungo termine.
E’ andata perduta la fiducia nella riforma economica liberale. Diversamente dai tempi del crollo del muro di Berlino, quando la rivoluzione anelava a un sistema economico liberale, il cambiamento in Medio Oriente rifiuta un sistema politico autocratico e aspira alla democrazia, ma senza avere un’idea chiara di quale sistema economico dovrebbe essere implementato. C’è una possibilità concreta che i governi che alla fine emergeranno dalla crisi annulleranno le riforme economiche compiute anteriormente, definendole errate e sostenendo che esse abbiano contribuito al tracollo della regione.
La pressione dell’emigrazione. Il caos e la violenza hanno già fatto in modo che alcuni profughi tunisini disperati compissero la breve ma pericolosa traversata del mare fino all’isola italiana di Lampedusa. Mentre le forze fedeli a Muammar Gheddafi e i ribelli sembrano trovarsi in una situazione di stallo, i migranti libici potrebbero ben presto unirsi a quest’esodo. Le migrazioni dall’Africa sub-sahariana all’Italia, che storicamente ha sfruttato la Libia come avamposto in Africa, potrebbero persino aumentare se il regime di Gheddafi cadrà. E certamente, se un esodo su vasta scala proverrà da Paesi in difficoltà, non potrà che mettere ulteriore pressione su quei governi europei che già stanno combattendo con i loro problemi economici interni.
Shock petrolifero. Una crescita spropositata dei prezzi del petrolio è, giustamente, il più temuto contraccolpo che si profila dinanzi all’economia globale. Fin d’ora gli analisti possono stimare in un 25% circa il rincaro del greggio che è diretta conseguenza di quei disordini. Se l’instabilità continuerà a diffondersi nell’area del Golfo, che vanta il 40% di tutte le risorse petrolifere del mondo, la produzione e il trasporto del petrolio potrebbero essere gravemente compromessi. Sullo sfondo di una richiesta che cresce, e di una fornitura che stenta a crescere, qualsiasi avvenimento nella regione potrebbe portare a una duratura esplosione dei prezzi e, nella peggiore delle ipotesi, persino bloccare forse la ripresa globale dell’economia. Anche nel migliore dei mondi possibili, la prolungata incertezza politica può portare a prezzi del petrolio più alti e più instabili per molti anni ancora.
È essenziale che gli USA, l’Europa e i grandi mercati emergenti, in particolare la Cina e l’India in qualità di grandi importatori di petrolio, sostengano economicamente la regione durante la transizione. La Banca Mondiale e l’FMI devono disporre in fretta del loro know-how e delle loro risorse proprio a questo scopo. Gli interventi potrebbero andare da prestiti per la bilancia dei pagamenti, all’assistenza tecnica per la riforma fiscale, politica e amministrativa, fino al sostegno finanziario per la società civile, così come il Presidente della Banca Mondiale R. Zoellick ha recentemente ventilato. È nell’interesse delle economie più sviluppate assicurare che le riforme economiche tengano il passo con le riforme politiche. Diversamente, i rischi non possono che aggravarsi.
The Middle East Bailout (Carnegnie Endowament)
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