Aggiornato il 03/05/18 at 04:35 pm
Il Kurdistan è una regione a cavallo tra Iraq, Turchia, Iran. La sua parte irachena fino a due anni fa era una specie di paradiso di relativa quiete nel Paese sconvolto dalla guerra. Ha attratto profughi curdi da altre zone e anche cristiani caldei, specialmente a Mosul, tanto da alterare i delicati equilibri tra le diverse etnie insediate da secoli in quello che è il secondo bacino petrolifero per importanza dell’intero Iraq.
La «capitale» Kirkuk, una città multietnica di quasi un milione di abitanti – arabi sciiti e sunniti, curdi, turcomanni, assiri-caldei – è però ancora esclusa dal Governo regionale del Kurdistan, ad amministrazione autonoma. Il presidente dell’Iraq, il curdo Jalal Talabani, l’ha definita la «Gerusalemme curda», tanto per sottolineare quanto irrisolto sia il problema della sua amministrazione.
Le rivendicazioni autonomiste si sono riaccese notevolmente dopo le elezioni amministrative del 2009 in cui per la prima volta l’egemonia dei due principali partiti – il Puk o Unione patriottica del Kurdistan e il Pdk o Partito democratico del Kurdistan – è stata rotta dall’avanzata di un nuovo soggetto politico: Goran o Lista del Cambiamento capitanata da Nawshirwan Mustafa, ex numero due del Puk.
Goran chiede la fine della corruzione tribale e una nuova gestione delle risorse, che sono notevoli, oltre alla fine della persecuzione dei giornalisti e delle voci di dissenso. Goran punta il dito in sostanza contro la gestione improntata sull’alleanza di ferro tra Massoud Barzani, leader del Pdk e presidente della Regione del Kurdistan iracheno, e Jalal Talabani, leader del Puk e presidente dell’Iraq. E c’è anche Human Right Watch ha fatto eco alle denunce di Goran sulla mancanza di sicurezza per i reporter locali indipendenti, tra cui l’uccisione di un giovane giornalista avvenuta in circostanze rimaste oscure lo scorso maggio.
Goran si è rifiutato di avvallare un percorso di riforme sociali e economiche lanciato da Barzani dopo i tumulti del 23 febbraio a Sulaimaniya ed è stato accusato di essere «un movimento manovrato da Teheran». Mentre il settimanale The Kurdish Globe accusa Goran di essere pieno di ex baathisti orfani di Saddam. Lo stesso giornale ricorda che in Kurdisatn gli interessi in gioco sono grossi, come quello che riguarda la partecipazione al gasdotto Nabucco.
Petrolio, gas e benzina, cioè prodotti già raffinati che vengono contrabbandati a bordo di autocisterne oltre le montagne in direzione dell’Iran. Tutto rigorosamente in nero, ad alimentare un sempre più prepotente sistema di corruzione. Adesso è in ballo la riconferma della leadership al potere: le elezioni per il parlamentino curdo si svolgeranno tra un paio di mesi. Nel frattempo i rapporti sono sempre più tesi con Baghdad, che accusa il governo curdo di Erbil degli affari sottobanco con l’Iran.
La ruggine è vecchia tra governo centrale e regionale, e riguarda anche il censimento dei curdi sulla base del quale si potrebbe procedere al referendum che la Costituzione irachena prevede per il destino di Kirkuk, cuore petrolifero del Paese. L’afflusso incentivato di arabi in città ha volutamente falsato la composizione etnica durante il periodo di Saddam, al contrario da quando Talabani è presidente è stato incoraggiato fortemente il rimpatrio dei curdi della diaspora. La «scatola» Kirkuk è di nuovo in ebollizione e per evitare una deflagrazione il censimento è stato nuovamente slittato a data da destinarsi.
Le tensioni però non si sono smorzate, anzi stanno spaccando il fronte curdo. Otto morti nelle ultime settimane e continue manifes
fonte:Unità
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