Aggiornato il 03/05/18 at 04:36 pm
di Serena Spinazzi Lucchesi
E’un popolo diviso, quello curdo. Cinque sono gli stati che tagliano a pezzi il territorio del Kurdistan: Iraq, Turchia, Iran, Russia, Siria… «Il sogno di ogni curdo è poterci riunire un giorno». Un sogno, quello di uno stato unito, che rimane lì, sullo sfondo di qualsiasi ragionamento riguardi oggi la popolazione curda. Anche quando c’è da parlare di fatti positivi, come la nuova stagione di rinascita che tocca in particolare la regione irachena dove vivono i curdi: «Oggi qui c’è sicurezza. Chi visita la regione curda può vedere quanto sia diversa da come la si immagina dal di fuori, quanto sia molto più sicura e tranquilla del resto dell’Iraq. Infatti arrivano persone dall’estero, investitori stranieri. E tornano molti curdi che in passato erano emigrati». A raccontare il Kurdistan iracheno oggi, sono alcuni giornalisti venuti in visita a Venezia nelle scorse settimane. Tra le tappe della loro visita anche la redazione di Gente Veneta, dove hanno potuto conoscere concretamente il lavoro dei giornalisti e assistere al “confezionamento” del giornale (vedi box accanto).
Da quel sogno, in ogni caso, occorre partire: «Ogni curdo sogna di unirsi a quelli delle altre regioni. Ma ciascuno di noi – raccontano Halmat Hoshyar e Sarteep Jawhar – sa bene che la situazione odierna non permette di fare un passo del genere. E’ molto complicato. Abbiamo compreso che possiamo solo andare a fianco della situazione politica internazionale, adeguarci ad essa. E possiamo solo chiederci cosa permetta oggi questa situazione. Può la situazione internazionale capire cosa vogliono i curdi, lasciandoli liberi di unirsi? No, oggi questo non è possibile».
La rinascita irachena. E allora, chiuso, almeno per ora, questo capitolo, non rimane che guardare ai singoli pezzi di questo Kurdistan. Quello iracheno, dal quale provengono i giornalisti, è in trasformazione. Autonomo dal ’91, dopo aver subito una feroce repressione (si parla di un vero e proprio genocidio tra la metà degli anni ’80 e il ’90), il popolo curdo iracheno ha iniziato lentamente a risollevarsi. «Nonostante – precisano i giornalisti – durante il regime di Saddam la nostra regione abbia subito un doppio embargo, sia dell’Onu che del regime nei nostri confronti».
La vera autonomia, in ogni caso, è arrivata solo dopo il 2003, con la caduta di Saddam Hussein, con un parlamento e un governo autonomi. Ed è a partire da qui che è iniziata la vera rinascita della regione curda. Se il sud dell’Iraq in questi anni è stato teatro di attentati e ancora oggi presenta condizioni di sicurezza molto precarie, a nord, nella regione curda la situazione è ben diversa: «Qui da noi c’è molta più sicurezza, c’è libertà, c’è democrazia e infatti stiamo assistendo a un forte sviluppo economico, qui arrivano aziende straniere ad investire». La ricchezza della zona si chiama petrolio, tanto che il “peso” economico della zona rispetto al paese è pari al 17% del Pil. Ovvio che la regione curda spinga per avere sempre più autonomia, in termini politici ed economici, rispetto al governo centrale. «Abbiamo 58 parlamentari sui 325 totali, e con questi nostri rappresentanti – raccontano i giornalisti – cerchiamo di far approvare leggi favorevoli al popolo curdo, soprattutto in termini di agevolazioni economiche. Quel che ci interessa è che siano favoriti gli investimenti delle aziende estere». E questo sta già accadendo, anche se una vera e propria legge che conceda agevolazioni agli investitori ancora non è stata approvata. Poi c’è il capitolo “federalista” che ricalca in qualche modo il tema della distribuzione delle risorse sul quale si dibatte anche in Italia: «La ricchezza che produce il Kurdistan va all’intero paese, non rimane solo nella nostra regione. Noi vorremmo che rimanesse, almeno un po’ di più».
La questione Kirkuk. C’è poi un’altra questione irrisolta, e riguarda la città di Kirkuk tuttora contesa: «Noi curdi – raccontano i giornalisti a GV – vorrremmo che facesse parte del Kurdistan, ma gli arabi si oppongono. In passato la maggioranza degli abitanti era curda, poi c’è stato il genocidio e Saddam portò qui gli arabi», spiegano riferendosi all’etnia araba che compone in parte la città. «Vorremmo tornare alla situazione precedente, ma non possiamo certo pensare di mandare via gli arabi. E dunque c’è questa situazione di stallo». Va detto che la città di Kirkuk interessa molto soprattutto perché qui si trova il più grande giacimento di petrolio del Paese…
La religione in passato non è mai stata un problema: «Fino alla fine degli anni ’70 convivevamo tutti senza mai chiederci a quale religione gli altri, i nostri vicini di casa, appartenessero. Casomai il problema riguardava e riguarda le etnie».
Oggi c’è ancora chi lascia il Paese per emigrare altrove in cerca di fortuna. Ma si assiste anche a qualche ritorno. «Oggi partono le persone più povere, che si sono impoverite con l’embargo. Molte famiglie all’epoca non mandavano i bambini a scuola per farli subito lavorare e ora quei bambini, nel frattempo cresciuti, non trovano lavoro ed emigrano. Però c’è anche chi sta tornando qui». Sono questi i piccoli segni della rinascita.
Tratto da GENTE VENETA, n.49/2010
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