Aggiornato il 03/05/18 at 04:36 pm
La gestione efficiente delle risorse idriche è una condizione necessaria per la rinascita dell’Iraq e l’Italia con la direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina è impegnata da anni su questo fronte. Tanto che su impulso del nostro paese la protezione dell’acqua è stata inserita fra le tre priorità del piano strategico dell’Ue per lo stato mediorientale relativo al prossimo triennio. In particolare, gli sforzi italiani sono concentrati per riqualificare le zone umide delle Marshlands, nel sud del Paese, colpite da una progressiva desertificazione che ha fatto fuggire a partire dagli anni 80 circa 200 mila persone. Lo riporta il sito internet del ministero degli Esteri. La strategia della Cooperazione nelle Marshlands è stata l’oggetto di un convegno che si è svolto il 23 novembre alla Farnesina. Al centro c’è la formazione, grazie alla collaborazione dell’Università di Firenze, a partire dal 2005. Per far rinascere l’area sono stati attivati una ventina di corsi – di cui tre in Italia – di acquacoltura, gestione dell’acqua, irrigazione, bioenergie, formazione pratica per l’utilizzo di macchinari e impianti, che hanno coinvolto circa 300 persone, con 23 docenti italiani in Iraq.
L’acqua in queste zone è scarsa sia per quantità che per qualità, perché il fiume Eufrate sta diventando sempre più salato. Quindi, ci si concentra ad esempio sulla ricerca di colture adatte a questo tipo di ambiente. E poi sono state donate attrezzature e impianti. Nei primi tre anni di intervento italiano è stata bonificata circa il 40 per cento dell’area delle Marshlands: i risultati sono di livello perché, ha spiegato il coordinatore della task force per l’Iraq della Cooperazione, Mario Bellelli: “L’Italia ha scelto di intervenire soltanto in settori in cui può dare valore aggiunto, come l’agricoltura, la gestione risorse idriche, il sostegno al patrimonio culturale e alle piccole medie imprese (Pmi) e la sanità”. L’Ambasciatore iracheno in Italia, Saywan Barzani, ha ringraziato il nostro paese per il “lavoro unico che sta facendo per rimettere in piedi l’Iraq”, citando la riqualificazione dei musei di Bagdad e del Kurdistan e poi il lavoro nelle Marshlands. Quindi, ha auspicato che “la formazione dei nostri giovani, fin qui ottima, continui nel tempo”. Durante il convegno sono stati consegnati gli attestati di frequenza a sette tecnici iracheni che hanno partecipato ad un corso avanzato in Italia.
La Dgcs è attiva in Iraq nella provincia del Dhi Qar, tra le altre cose, con il programma per la “gestione sostenibile delle zone umide” finanziato con 899.272,5 euro e svolto dal dipartimento di Ingegneria agraria e forestale (Diaf) dell’Università di Firenze – diretto dal professor Matteo Barbari – in collaborazione con l’Unità di sostegno alla ricostruzione (Usr) italiana, guidata da Anna Prouse. L’iniziativa prevede principalmente attività di formazione di personale locale. Il Diaf, infatti, ha tenuto presso la sede dell’Usr dieci corsi su cinque tematiche: qualità dell’acqua, gestione dell’acqua, gestione del territorio, produzioni animali e vegetali e acquacoltura e pesca. Ogni sessione durerà circa un mese (120 ore di lezione tra teoria e pratica) e vi parteciperanno dieci studenti. Questi ultimi erano tecnici iracheni o funzionari delle istituzioni locali. Per quanto riguarda i docenti, sono stati due professori italiani, o interni o esterni all’Università di Firenze (a seconda delle esigenze). A ottobre del 2009, poi, si è tenuto nel nostro paese un corso sulla gestione dell’ambiente palustre, al quale hanno partecipato dieci iracheni.
Si è svolto anche un master di nove mesi dell’Istituto agronomico per l’oltremare (Iao) sull’irrigazione nei Paesi in via di sviluppo (Pvs) al quale hanno partecipato cinque laureati iracheni. Il Diaf lavora in Iraq dal 2005. Prima con un progetto per sostenere la produzione della palma da dattero e valorizzare i prodotti della provincia del Dhi Qar (concluso il 31 dicembre 2006), poi con un’iniziativa dal titolo “Piano di formazione professionale rivolto ad operatori del settore agricolo e allestimento di un centro per il sostegno all’agricoltura”, completata il 13 novembre 2008. Il progetto delle “zone umide” è cominciato ufficialmente con una riunione a Erbil nel 2006 alla quale hanno partecipato esperti della Direzione generale del Medio Oriente e Mediterraneo della Farnesina (Dgmm) – in quanto la task force Iraq era allora dipendente dalla direzione e non dalla Dgcs – e del ministero dell’Ambiente italiani, l’Iraq Foundation, i direttori generali e lo staff tecnico dei ministeri dell’Ambiente, delle Risorse idriche e dei Lavori pubbblici iracheni, impegnati nel progetto “I Giardini dell’Eden”. Tra le varie iniziative nate dall’incontro, fu stato deciso di dare il via a uno studio di fattibilità per la nascita del Mesopotamia Marshlands National Park, il primo parco nazionale iracheno, la realizzazione del primo villaggio pilota ecosostenibile “New Eden Village” e l’avvio dello studio per nuovi insediamenti analoghi nel Kurdistan iracheno. Per quanto riguarda il parco, l’idea è emersa subito dopo la guerra, con la nascita del progetto New Eden (2003) tra il ministero dell’Ambiente italiano e il suo omologo iracheno. Finora però le priorità erano altre e, di conseguenza, l’iniziativa era passata in secondo piano.
Invece, il villaggio nelle Marshland dovrebbe essere composto da circa cento abitazioni, ecosostenibili ma al tempo stesso funzionali per la popolazione locale. Su questo fronte era nata una disputa tra l’Onu, che finanziava il progetto, e Bagdad. Le Nazioni Unite avevano posto come condizione per erogare i fondi che il governo iracheno liquidasse antecedentemente i proprietari dei terreni sui quali sarebbe sorto il complesso. La capitale irachena aveva risposto di non essere economicamente in grado di assolvere al compito, affermando che avrebbe “comprato” i terreni una volta ricevuto il denaro dell’organizzazione internazionale. All’incotro di Erbil era emersa una proposta che sbloccò la situazione: Bagdad avrebbe mediato, offrendo ai padroni dei lotti la comproprietà di una parte delle abitazioni. Nel corso della riunione si è deciso anche di recuperare le zone umide fino al 70 per cento della loro originarie estensione, prima degli interventi di Saddam Hussein (l’ex rais, in seguito alla rivolta degli sciiti, chiuse tutti i canali idrici distruggendo quella che nei libri di storia era conosciuta come parte della Mezzaluna fertile). A questo proposito sono stati disposti alcuni provvedimenti, come la realizzazione di un Sistema informativo territoriale (Sit), al fine di pianificare il recupero e la conservazione dell’ambiente, e la realizzazione di un Centro di ricerca sull’ambiente nelle Marshlands.
Al seminario l’Italia, che collabora con l’Iraq in tutti i campi, ha avuto un ruolo di primo piano. In particolare è stato determinante il contributo degli esperti della direzione generale per la Ricerca ambientale e lo sviluppo del dicastero dell’Ambiente. “Vorrei ringraziare il governo italiano e in particolare il direttore generale del ministero dell’Ambiente Corrado Clini. Molto state facendo per aiutare l’Iraq e apprezziamo la qualità del lavoro che state svolgendo – sono state le parole del ministro dell’Ambiente dell’Iraq, Narmin Othman, nel suo intervento alla riunione -. Tutti conoscono le gravi condizioni dell’ambiente in Iraq. Abbiamo ancora bisogno di aiuto per raggiungere i nostri obiettivi. La riunione di oggi è un’importante occasione per fare il punto su quanto è stato realizzato a oggi nel nostro Paese e su quanto deve ancora essere realizzato nel prossimo futuro. Credo sia stato fondamentale riunirsi in territorio iracheno – ha aggiunto il ministro – dando in tal modo la possibilità ai tecnici provenienti dai tre ministeri e ai rappresentanti delle popolazioni locali di intervenire direttamente all’incontro”. La cooperazione tra il ministero dell’Ambiente italiano, il governo di Bagdad e l’Iraq Foundation è cominciata nel 2003 con il progetto “Giardini dell’Eden (New Eden Project)”, finalizzato al recupero delle zone umide della Mesopotamia. L’iniziativa bilaterale ha come obiettivo porre rimedio ai danni causati dalla politica di sviluppo agricolo e di gestione delle acque di Saddam Hussein. Si inserisce nell’ambito di un piano strategico, sviluppato in cooperazione con Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone, coordinato dal Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (Unep).
Fonte: (Il Velino)
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