Aggiornato il 03/05/18 at 04:37 pm
Il vice-premier del dopo Saddam: stiamo spianando la strada a cinesi e ayatollah
Intervista di ASSEEL KAMAL
Ahmad Al Chalabi è il capo dell’Iraqi National Congress Party, il partito che convinse il Congresso Usa, durante la presidenza di Bill Clinton, della necessità di rovesciare il regime di Baghdad. Ma ora, a sette anni dall’intervento americano, l’Iraq libero sembra gettarsi nelle braccia del vicino Iran piuttosto che in quelle americane. Il premier Nouri Al Maliki è in visita ufficiale a Teheran, e le autorità della repubblica islamica giocano un ruolo importante per arrivare a un accordo con il leader estremista sciita Muqtada Al Sadr, per un nuovo governo, a totale traino sciita, che garantisca ad Al Maliki di restare in carica e risolvere il puzzle politico uscito dalle elezioni del 7 marzo. Chalabi, alla guida un gruppo di partiti riuniti nella National Alliance, è stato candidato alla carica di primo ministro.
Parliamo del nuovo ritardo nella formazione del governo.
«È molto inopportuno e deludente sul piano politico. I politici antepongono gli interessi dei singoli e dei partiti alle necessità del Paese. Ed è deludente che una parte politica si appoggi così apertamente all’Iran. Rischiamo di finire sotto la sua influenza. Bisogna riflettere».
Che ne sarà delle relazioni con gli Usa dopo il ritiro totale delle truppe?
«Credo dovremmo mantenere relazioni molto buone e positive».
Nonostante tutto quello che hanno fatto in Iraq?
«L’America non ha fatto in Iraq quello che ha fatto in Vietnam e non ha agito in modo ostile come contro la Cina o il Giappone, non ha gettato l’atomica. E tutte queste nazioni hanno superato il passato e hanno sviluppato buone relazioni con l’America, con loro grande vantaggio; la Cina è riuscita a vendere attrezzature sofisticate e robaccia, e tutte vanno negli Stati Uniti, questo ha reso la Cina un Paese con il maggior capitale in dollari, in grado di influenzare i mercati di tutto il mondo; tutto questo è successo dopo la visita di Nixon in Cina nei primi Anni 70. Così per noi uno dei maggiori problemi è che in Iraq gli Usa hanno solo speso soldi e non c’è una presenza significativa di aziende americane in Iraq. Le cose più care che compriamo dagli Stati Uniti sono aerei, cannoni e carri armati».
Non crede che l’Iraq perderà il controllo sul proprio petrolio?
«Il petrolio iracheno non era di proprietà statale. Gli Stati Uniti ne hanno approfittato di più prima che adesso. Vi rimando all’intervista di Saddam con Avril Dalaski quando dice: “Voi pensate che sia stato un caso che noi abbiamo venduto la maggior parte del nostro petrolio agli Usa?”».
Chi beneficerà di più del business del petrolio?
«La Costituzione dice che il petrolio e le risorse dell’Iraq sono di proprietà del popolo iracheno, non dello stato. Molti Paesi hanno stipulato un contratto con il governo per estrarre petrolio. Quale percentuale hanno gli Stati Uniti? Meno dei cinesi. Lei pensa che gli Stati Uniti abbiano fatto la guerra in Iraq per dare ai cinesi la quota maggiore dei diritti sulla prospezione di petrolio in Iraq? Perché avrebbero dovuto farlo?».
Per cosa allora, per le armi di distruzione di massa?
«È una questione molto complessa. Ho detto quello che dovevo dire su questo, è un onore che non rivendico e una voce che non smentisco. Avevamo in agenda di rovesciare Saddam, non è un segreto, la nostra intera opera negli Stati Uniti era convincerli ad aiutarci a rovesciare Saddam Hussein. Non l’abbiamo mai nascosto. Le armi di distruzione di massa erano una questione marginale, per quanto ci riguardava, sì. Guardi, quando si è smesso di parlare di questo problema? L’amministrazione americana voleva parlare di armi di distruzione di massa perché voleva intraprendere un’azione militare diretta e trovare una giustificazione per la guerra».
Nel 2002 lei tenne un discorso sulla necessità di disarmare l’Iraq.
«Questo era vero, dal nostro punto di vista; tutto il nostro lavoro era focalizzato sulla distruzione di Saddam in Iraq e sulla minaccia che Saddam rappresentava per i Paesi vicini. Abbiamo anche sottolineato i legami di Saddam con i terroristi islamici».
Erano reali?
«Zarqawi venne in Iraq quando Saddam era qui e fu ricoverato all’ospedale Ibn Sina».
E oggi? Gli iracheni possono garantire la sicurezza in Iraq?
«Solo se la nostra capacità di addestramento e il sistema informativo migliorano, i sistemi di informazione iracheni devono essere rivisti».
Che piani ha per l’economia?
«Proporremo leggi che aboliscono quelle in vigore, le leggi volute da Saddam incentrate sul capitalismo di Stato e sul controllo della produzione e della distribuzione in Iraq. Penso che il settore privato dovrebbe svolgere un ruolo importante e vitale e tutte le norme dal periodo di Saddam e in qualche modo anche dopo, vanno contro il settore privato. Siamo ancora soggetti alle leggi di Saddam».
traduzione di Carla Reschia
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