Aggiornato il 03/05/18 at 04:37 pm
di Suadad al-Salhy e Serena Chaudhry
BAGHDAD (Reuters) – In Iraq, a sei mesi dalle elezioni che nella speranza di molti avrebbero dovuto portare maggiore stabilità e pace al Paese, diversi elettori stanno perdendo la pazienza verso i politici e anche la fede nella democrazia. Dal voto del 7 marzo non è uscito un netto vincitore, cogli elettori iracheni divisi tra le due principali coalizioni sciite, i partiti curdi e e’un alleanza laica e interconfessionale che si era impegnata a difendere anche i diritti della minoranza sunnita.
Da allora, i politici dicono di non essere riusciti a segnare progressi evidenti nelle trattative per un governo di coalizione, mentre i continui attacchi degli insorti e il ritiro delle truppe di combattimento Usa hanno generato il timore di un ritorno alla violenza diffusa.
“Ora mi rimprovero per essere andato a votare. Sono sicuro che se gli iracheni avessero saputo che la situazione sarebbe peggiorata, non sarebbero mai andati a votare, per nessun partito”, dice il 35enne Naseer Challoub, che ha un negozio di abiti a Baghdad.
L’Iraq sta entrando in una nuova fase di incertezza, quando manca un anno al ritiro completo delle forze Usa, che invasero il Paese nel 2003 per abbattere il dittatore sunnita Saddam Hussein.
La carneficina tra i sunniti, in precedenza al potere, e la maggioranza sciita, che ha preso il controllo del paese mediorientale dopo la scomparsa di scena di Saddam, si è ridotta. Ma lo stallo politico ha indicato quanto le divisioni siano ancora presenti e ha rinnovato il timore che i massacri possano ricominciare, se una delle comunità di cui si compone l’Iraq venisse esclusa dalla coalizione di governo o se le venisse negata quella che considera una giusta prerogativa di potere.
Gli attacchi degli insorti sunniti contro esercito e polizia sono di nuovo in aumento, dopo che gli iracheni hanno assunto il controllo della sicurezza nazionale in seguito alla riduzione delle truppe Usa, che oggi contano meno di 50mila militari e hanno orientato la missione sull’addestramento delle forze locali.
Domenica scorsa, un attacco contro una base dell’esercito a Baghdad condotta da attentatori suicidi ha provocato 12 morti. Due settimane prima, nello stesso compound, un altro attacco suicida aveva provocato la morte di 57 personeGli omicidi di quadri e di leader delle milizie anti-al Qaeda sono all’ordine del giorno.
“Speriamo che i nostri politici siano più flessibili, che siano uniti, che cerchino il compromesso e rispettino le loro promesse elettorali. Ma non sono riusciti a evitare che il sangue iracheno continuasse a essere versato a causa delle loro divergenze”, dice il commerciante Duraid Mohammed, 37 anni. “Sono responsabili per ogni iracheno ucciso”.
SENZA MAGGIORANZA
Alle elezioni di marzo il partito dell’ex premier Iyad Allawi, Iraqiya, che ha anche il sostegno dei sunniti, ha ottenuto due seggi in più dell’alleanza sciita “Stato di diritto” del premier uscente Nuri al-Maliki. Ma nessuno si è assicurato la maggioranza necessaria a governare.
Maliki e Allawi hanno condotto negoziati per una coalizione, che però hanno dato scarsi frutti. I due hanno preso contatto con altri partiti, ma anche in questo caso con pochi progressi, dicono i politici.
Domenica scorsa Allawi ha detto a Reuters che i negoziati sono ancora a uno stadio preliminare.
Le tensioni politiche stanno mettendo direttamente a repentaglio la sicurezza, afferma un parlamentare di Iraqiya, Kadhim al-Shimmari: “Le tensioni politiche si ripercuotono sulla strada e molte zone potrebbero dover affrontare la violenza confessionale, a partire da Baghdad”.
Allo stesso tempo, la frustrazione degli iracheni cresce per la mancanza di acqua potabile ed energia. La corruzione resta diffusa.
Il caos politico sta ritardando gli investimenti nei settori non legati al petrolio, che però sono disperatamente necessari per un paese affamato di sviluppo dopo anni di guerra, sanzioni e isolamento.
Le società petrolifere che hanno firmato contratti che potrebbero portare la produzione irachena a livelli sauditi, con 12 milioni di barili al giorno, dicono che stanno cercando di capire se lo stallo politico colpirà anche lo stato della sicurezza.
L’Iran, paese sciita che esercita un’influenza notevole su molti leader sciiti iracheni, ha spinto per l’unità degli sciiti, anche se sembra aver ottenuto poco successo.
Anche la Turchia – le cui relazioni con l’Iraq sono state a lungo dominate da preoccupazioni sulle aspirazioni all’indipendenza della minoranza curda, ma che si sono poi ampliate con il boom degli investimenti – ha cercato di patrocinare accordi, dicono diplomatici. Contemporaneamente l’Arabia Saudita si è impegnata difendere i sunniti e a contenere l’influenza iraniana.
Fonte: www.reuters.it
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